Il campo per prigionieri di guerra n. 107

Dopo l'armistizio

L’8 settembre 1943 l’Italia si arrende agli Alleati, ponendo fine all’intesa con la Germania nazista. Nello stesso giorno, gli anglo americani sbarcano a Salerno e iniziano a risalire verso Nord. Alla fine del 1943 l’Italia meridionale è sostanzialmente libera. Molto diversa è invece la situazione nel resto del paese, che viene rapidamente occupato dai tedeschi. Per la sua posizione geografica, l’Italia nord-orientale è una zona di grande interesse strategico, dove sono già attive unità partigiane italiane e jugoslave. La lotta antipartigiana è affidata principalmente alle SS, la terribile polizia nazista.

Per i prigionieri, la scelta di scappare dal campo o di restare sperando nell’arrivo degli alleati è molto difficile, perché entrambe le alternative comportano grossi rischi. Alla fine, sono circa la metà i prigionieri del 107 che lasciano il campo, mentre l’altra metà rimane.
Quelli che scappano scelgono strade diverse e si muovono da soli o a piccoli gruppi. Alcuni, grazie alla confusione generale che regna in Italia in quei giorni, riescono a confondersi con i soldati italiani che stanno ritornando a casa in treno e in questo modo raggiungono in pochi giorni l’Italia meridionale ormai liberata. Altri si muovono verso il confine con la Slovenia e si riuniscono agli alleati con l’aiuto dei partigiani jugoslavi. Altri ancora si fermano in Friuli, dove vengono nascosti e sfamati, anche per molti mesi, dai contadini delle campagne e in modo particolare dalle donne.

Per chi rimane nel campo, il destino è segnato in pochi giorni: il 14 settembre i tedeschi arrivano a Torviscosa e il giorno successivo fanno riparare i buchi che i fuggitivi avevano fatto nelle recinzioni. Il 30 settembre, deportano tutti i prigionieri rimasti nei campi di concentramento del Reich.